Quando Willy diventò The King

// Novembre 30th, 2009 // Willy

Willy The King consegna la targa al capitano Jack Zatti. Era la targa della sua automobile

Willy The King consegna la targa al capitano Jack Zatti. Era la targa della sua automobile

Leggenda narra che il genitore di un promettente virgulto abbia avvicinato il professor Aza Nikolic alla fine di una seduta sui fondamentali per domandargli, con approccio discreto: “Come stanno andando i ragazzi?”. Ovviamente il genitore si riferiva soprattutto al suo di ragazzi, ma l’ha buttata un po’ sul vago per non scoprire le carte. (…)


Willy era già The King da un bel pezzo

Willy era già The King da un bel pezzo

“Bene”, rispose il grande Aza. “Peccato, però, che non siano orfani”. Il professor Nikolic amava insegnare la pallacanestro ai giovani, ma amava un po’ meno (molto meno, in verità) i loro genitori. Soprattutto quelli pressanti, sempre presenti a partite e allenamenti, quelli insomma – ci siamo capiti – che nel figlio vedono la proiezione delle proprie ambizioni, o, peggio ancora, la rivalsa nei confronti di un destino cinico e barman. Per Alexander Nikolic, padre del basket slavo, la squadra ideale da allenare doveva essere composta da orfani. Probabilmente siamo nel campo della leggenda, ma come in tutte le leggende c’è un fondo di verità. Per trovare riscontri è sufficiente fermarsi tra il pubblico che assiste a manifestazioni giovanili di qualsiasi sport, curling incluso. Parole sante, professore! Anche i campioni non sono immuni dalla pressione affettuosa dei genitori: uno magari si figura che crescano liberi e selvaggi in qualche prateria, come i mustang che cavalcavano a pelo i pellerossa _ citazione rubata al Barone Gary Schull e al suo autobiografico 45 giri “La vita di Gary” _ ma non è esattamente così.
Quando Bonaccorsi giocava male, la madre lo lasciava senza cena. E suo padre, presente ad ogni allenamento, un giorno venne allontanato da coach Sacco dal Pala Allende di Livorno. Troppo stressante per il pittore pesarese: per creare tattiche, schemi e acqueforti aveva bisogno di olimpica tranquillità.
Negli anni Novanta il basket esisteva ancora a Bologna. Non come oggi che ha preso piede soprattutto nell’hinterland e naturalmente in provincia, da Imola a Casalecchio di Reno, passando per Ozzano e Castelmaggiore. E fu proprio in quei tempi di grande fervore cestistico e creativo che si materializzò per miracolo il teorema Nikolic.
Venne al mondo una squadra di Orfani. Il professore era già sulla sua nuvoletta, fumava paglie senza filtro e studiava una difesa sul pick and roll che avesse solide basi anche in paradiso dove i lunghi non mancano, ma sono sempre i piccoletti che ti fregano. Purtroppo per lui, non ebbe mai l’occasione di vedere all’opera il suo ideale di squadra in carne ed ossa. Gli Orfani nacquero quando il capitano Jack Zatti da Sasso Marconi, detto Striscio, dopo una secolare militanza in Fortitudo, fu ceduto a Montecatini col suo cane Baloo.
Non necessariamente si è orfani di uno o più genitori. Si può essere orfani di un simbolo, di un segno di appartenenza, di un punto di riferimento. E Giacomo Zatti, il capitano, era tutto questo. Lo è anche oggi che ha aperto un ristorante a Santo Domingo e ogni tanto si vede con Pierino Montecchi, ex socio in affari, che vive e lavora tra Miami e il Messico. Basti pensare che un giovane compaesano di Zatti, Davide Lamma, scende in campo col numero 9 in suo onore per comprendere il carisma del capitano.
Bene inteso che la Fortitudo non rimase senza portabandiera, perché il capitano divenne Daniele Albertazzi detto Tazzi, il tesoriere della nostra magica associazione WTKG, e lo divenne a furor di popolo proprio per la storia di prima, quella dei punti fermi, perché in certi momenti ti aggrappi dove sai che la terra non frana. Se mi è concessa una breve digressione personale, per me, cresciuto a Reggio Emilia e al palazzo di via Guasco dove molti anni dopo si sarebbe celebrato il Thanksgiving Teo dell’Aquila, Tazzi era un incubo fin da quando giocava a San Lazzaro e poi Ferrara. Che sfide epiche contro Orazio Rustichelli. Per me, e chiudo la parentesi, arrivare a Bologna e avere Tazzi nella mia squadra è stato un discreto sollievo.
Quando Zatti traslocò a Montecatini lasciò sotto le Due Torri un vuoto incolmabile, è vero.
I ragazzi non rimasero con le mani in mano: capitanati da Willy Boselli detto The King, non ancora titolare di un’associazione a lui dedicata, benché titolare inamovibile nelle vite dei ragazzi, si inventarono il circolo degli Orfani. Il circolo di amici divenne un club di tifosi Fortitudo seguendo la vocazione e il corso naturale degli eventi, ma si trasformò anche in una squadra di basket per il playground estivo ai Giardini Margherita che richiama sul cemento fior di campioni italiani e non che si cimentano alla pari con le stelle locali dei campetti. Micheal Ray Richardson detto Sugar contro Kareem Abdul Cantergiani detto Ciccio, è uno dei piatti che passava la mensa appetitosa del nostro soul in the hole alla bolognese.
Nel 1992 la squadra degli Orfani in cui militavano anche Micio Blasi e il Sindaco Max Aldi, fu la prima a indossare divise da gioco non col nome dietro la schiena, ma col soprannome. Molti anni più tardi il patron di un club della cintura metropolitana, noto per avere molte idee, troppe addirittura e diciamo stravaganti, riprese pari pari questa intuizione cercando di impossessarsene. Non passa, direbbe Porellone, che sicuramente adesso starà litigando con Nikolic. Diffidare delle imitazioni. Altri epigoni perfezionarono l’idea ad uso e consumo delle spettatrici, presenti in gran numero al playground dei Giardini: dietro le sopramaglie stamparono direttamente il numero del telefono cellulare, senza nome né soprannome. Così, proiettati nel linguaggio binario.
Al club degli Orfani, che si riunivano il lunedì sera da Max, osteria Du Madon all’inizio di via San Vitale, dopo l’incrocio con via Broccaindosso, avevano aderito anche due giocatori della Virtus, Moretti e Morandotti. Quando il loro presidente _ poi presidente del Bologna calcio, poi ancora candidato a sindaco e chissà, magari prossimo candidato a vescovo_ lo venne a sapere, li diffidò intimando loro diabbandonare quel convegno di eretici fortitudini con tanto di lettera ufficiale della società. Già all’epoca insomma si poteva intuire che il signore in questione avesse una vocazione naturale alla tolleranza e ad incarnare il ruolo che ha rivendicato nella recente campagna elettorale alle Amministrative: essere il sindaco di tutti.
Tra gli iscritti agli Orfani c’era anche Maurizio Ragazzi, all’epoca guardia alla Benetton, ma la sua tessera venne stracciata e mangiata dal Generale dopo che Ragazzi, al termine di una rocambolesca partita tra la Effe e i Radicchi al Palaverde (naturalmente persa), rivolse affettuosamente il dito medio alla Fossa. Fu un episodio molto controverso: Ragazzi sostiene ancora oggi d’essere stato frainteso (non è l’unico che lo sostiene quando fa o dice una cazzata), ribadisce che si trattasse dell’indice, in segno di saluto e non del medio, ma nel dubbio il Generale la tessera del “Riccio” la mangiò lo stesso. E a giudicare dalla sua espressione soddisfatta non doveva essere nemmeno male.
Gli Orfani diedero vita pure a una fanzine (”Anche di tabella vale”), che non è arrivata al decimo numero come tante iniziative editoriali dei giorni nostri, però ha saputo ugualmente lasciare il segno. In ogni caso la testata non godeva di sovvenzioni pubbliche, come “Il Campanile” di Mastella, pure avendo un numero maggiore di lettori.
Ma il giorno della sublimazione dei sentimenti e dell’assenza fu quando per la prima volta Giacomo Zatti venne a giocare a Piazza Azzarita da “nemico”. Arrivò a Bologna la sera prima della partita. Zatti ottenne anche il permesso da Montecatini di venire con la sua auto, così avrebbe avuto la possibilità di andare direttamente a Sasso, dai genitori, il lunedì, giornata tradizionalmente consacrata al riposo del guerriero. Naturalmente gli Orfani erano a conoscenza in tempo reale degli spostamenti del loro capitano. E quindi all’indomani, prima dell’inizio della partita, mettendosi in coda agli altri club del tifo organizzato che premiarono Zatti con sciarpe e vari souvenir del cuore, consegnarono pure loro una targa per consacrare a imperitura memoria l’evento.
Vicino a Willy, il re del parterre, c’era una qualificata rappresentanza di Orfani, da Ugo a Magù, al Principe e non solo. Idealmente c’era anche Black Nino Pellacani, che fisicamente non poteva esserci perché stava giocando da qualche altra parte. Ma la testa – giura chi ha assistito alla sua prestazione in quella giornata di campionato – era sicuramente a Bologna.
Lanfranco Malagoli, detto “Il Lungo”, era lo speaker storico del palazzo a cui si deve un’invenzione copiata in tutta Italia, sempre a proposito di idee: è stato lui il primo, durante la presentazione delle squadre, a gridare il nome di battesimo dei giocatori biancoblù lasciando al pubblico il compito di scandire in coro il cognome. Quella sera l’enfasi del Lungo era particolarmente ricca di pathos.
“Anche gli Orfani vogliono premiare Giacomo Zatti” disse al microfono con la voce rotta dall’emozione. “Gli consegnano una targa: la sua…”. In effetti era proprio la targa dell’auto di Zatti che qualcuno dei ragazzi aveva staccato a sua insaputa la sera precedente. Per la cronaca la Fortitudo perse di cinque, 80-85, pur schierando sotto canestro il baluardo Cedro Hordges. Oggi Cedro fa il tassista perché evidentemente ama stare nel traffico, come dicono quelli di Sky. Gli Orfani sono sempre lì, invece, in devota attesa del loro capitano. Anche i ragazzi che facevano a sportellate al Garden Margherita stanno ancora sul pezzo, partita al sabato e allenamento il mercoledì sera. Continuano a battersi con ardore a tutto campo e, se possibile, anche oltre, come ai bei tempi, contro avversari italiani e stranieri. E la scorsa settimana, approfittando della sosta del campionato, hanno asfaltato due ucraine sui materassi del salto in alto.

Leave a Reply

Scrivi il lrisultato, dimostra di essere umano :) *